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TRA CIELO E TERRA
(HEAVEN AND EARTH)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 20 febbraio 1994
 
di Oliver Stone, con Hiep Thi Le, Tommy Lee Jones, Joan Chen (Stati Uniti, 1993)
 
Un tipo curioso, questo Oliver Stone. Una specie di dinosauro, di fenomeno in via d'estinzione. Già per il fatto di essere un cineasta di " sinistra ", ormai si è costretti a scriverlo fra virgolette: e, come non bastasse della sinistra, figuriamoci, hollywoodiana. Dinosauro, poi, per la possanza, ai limiti dell'invadenza del proprio stile: montaggio frenetico, carrellate soggettive, sciabolate di luce, steadycam e movimenti azzardati della cinepresa. Un senso - lo sapevamo - innato, inimitabile del naturalismo: con l'obiettivo che va a frugare nella materia come fosse un bisturi, alla ricerca del piccolo dettaglio da ingigantire ed evidenziare.

Allora, quando tutto va per il meglio, a scavare a questo modo nella realtà si ottiene proprio il contrario: l'astrazione. Quella - cosi preziosa, cosi significativa - dell'itinerario ricostruito al rallentatore delle pallottole di Dallas in JFK. Quella del silenzio minaccioso della giungla di PLATOON, con la paura fisica dei marines che si muta in malessere, poi in angoscia ed in contestazione: se il nemico non si vede, allora significa che esso è dentro di noi...

Idealista, allora? Alla Frank Capra, tutto fede nella democrazia, negli sguardi limpidi alla Kevin Costner o nel ciuffo alla Tom Cruise, nella fiducia che presto a tardi le cose si aggiustano, basta che con il cinema si continui - onestamente - a darci dentro. Ma dimostrativo, pure, alla Costa-Gavras: che chi più ne ha più ne metta, che ora ve lo spiego io, come sono andate veramente le cose. Un simpaticone, tutto genio e sregolatezza, per il quale è difficile non provare simpatia: ma ve lo immaginate qualcun d'altro che se ne riparte per la terza volta in quel vespaio di ormai frequentatissime colpevolezze che è il Vietnam? Oliver Stone lo ha fatto, anche costo di rimetterci di tasca sua: ch È queste cose gli americani non le fanno mai con tariffe excursion.

PLATOON era stato allora il primo film "dalla" guerra (e non " sulla " guerra, come erano stati quelli di Walsh, di Fuller, di Coppola, Cimino o Kubrick), filmato da uno che laggiù c'era stato per davvero. NATO il 4 LUGLIO, quello delle conseguenze, fisiche e psicologiche del trauma: sui reduci, sulle generazioni posteriori, sulla cosiddetta memoria collettiva. Ma la trilogia andava completata: poiché tutto era stato trattato finora con encomiabile oggettività, ma esclusivamente secondo l'ottica dell'Americano.

Ed ecco quindi il nostro compiere l'atto supremo di riconoscenza, nei confronti di quello che soltanto Rambo si ostina a considerare ancora il Nemico: mettersi nei suoi panni. Adottare il romanzo autentico ed autobiografico di Le Ly Hayslip, immenso affresco alla Via col Vento, che dagli anni 60 segue la vita di una adolescente perduta fra le risaie prima dell'arrivo dei Vietcong, fino all'incontro con il sergente dei marines (buono, ma fatalmente traumatizzato) che la condurrà con sé negli Stati Uniti. Paesaggi splendidi , privi soltanto dei tailleur della Catherine Deneuve di INDOCHINE, bufali e copricapo controluce fra i giunchi cosi verdi, natura idilliaca sulla quale planano improvvisamente le pale devastanti degli elicotteri che sappiamo: fine dell'innocenza. E per la povera Le Ly è l'inizio di una probabile, quanto altrettanto inenarrabile (ed è proprio il problema del film) escalation nell'orrore: Vietcong che prima l'arruolano poi la torturano, la famiglia ed il villaggio che la respingono, violentata nel fosso dai commilitoni, cameriera a Saigon con il padrone che la mette incinta, rifiuto dell'aborto ma tentazione della prostituzione, mercato nero perseguito dagli sbirri corrotti, fino alla comparsa del sergente (Tommy Lee Jones, forse il personaggio più complesso) che pare cattivo, invece è buono, ma una volta nella casetta nel profondo USA (dove il film di Stone, curiosamente, adotta forme e colori dell'iperrealismo alla Lynch ed alla Coen...) ritrova mamma, prole, moglie e, soprattutto, turbe antecedenti. Per Le Ly exit l'esilio: ancora un tocco di femminismo, prima di concludere - come di dovere attualmente - in arancione, fra i monaci buddisti.

TRA CIELO E TERRA finisce cosi per essere una brillante dimostrazione. Di come con un eccesso di realtà si finisca per ottenere un eccesso di improbabilità; con una sovrabbondante ricerca di verità, una sconsolante ed ininteressante mistificazione melodrammatica. Di come, a furia di sberle in sceneggiatura e martellate registiche, s'impedisca di vivere, non fosse che per cinematografia interposta, ad una piccola e martoriata vietnamita: guarda a cosa conduce - quando tutto gli va storto - il cammino lastricato delle nobili intenzioni di Oliver Stone.


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